sabato 17 maggio 2008

ritorni



flash.

mesi di assenza.

non ti vedevo da dicembre.
non ti vedevo sola da settembre 2007.
per me non ti vedevo da settembre.
ed ora sei qua, semplicemente, non ostante la vita vada avanti per tutti, la tua più immobile di altri, la mia diversa e ancora più agnostica, ma queste sono altre storie.

probabilmente ci volevi tu, probabilmente sei stata tu, e io sono tornata indietro di anni, tutte abbiamo fatto un balzo indietro, lo so, l'ho visto ieri tra la calca a ballare canzoni stupide che non ballavo da anni, in posti strani che non frequentavo da anni, eppure eravamo lì, eravamo noi come anni fa, come ieri, il resto a parte, inesistente, quasi inopportuno.

ed è stato bello e mi è piaciuto e in fondo non sei cambiata per nulla, ed è divertente vederlo, ho rivisto ogni pregio ed ogni difetto, quasi forse un po' amplificati.
questione di sensazioni. questione che un po' di respiro in questa Italia di merda a volte ci vuole.
e sì, l'Italia fa schifo mia cara, ma d'altro canto è assurdo pretendere un'italietta dotta e di sinistra, è ridicolo già solo pensarla veritiera, si vorrebbe, ma cambierebbe qualcosa a fronte di un mondo che va comunque a puttane? tanto chi comanda è sempre lo stesso e non sono i nostri beneamati governanti, essì essì L'Italia amica è così, il mondo è così, eppure ancora si sta qua mia cara, in ogni caso qua, in cerca di un sorriso, in cerca di piacere.
bisogna concentrarsi sul piacere.
il piacere di ridere con te, di bere del vino, o della birra che sia, con te. di ballare stupidamente, consapevolmente.
il piacere dei piedi nudi sul prato del Castello.

di andare alle Ariette stasera, insieme, sempre noi, come anni fa, bestemmiare per il ritardo di Lara.

di cogliere le ciliegie dall'albero domani, arrampicarmici se mi regge.
di ridere leggeri, sereni seppur nella merda, senza una lira e nel totale precariato.

di urlare se si vede un culetto bianco, spaventandolo a morte.
il piacere dell'assenza di astio delle cose, per le cose.

il piacere di noi.
ed è bello pensarlo, e voglio pensarlo, voglio pensare a questo, al mare, al mio Kundera sul comodino a braccetto di Feyerabend e Izzo.
e sorridere di loro.

con voi, stasera, domani e dopodomani e se incontrerò un leghista avrò compassione della sua faccia grigia e triste, ossessionata da tutto, in preda alla paura, avrò pena di lui e del suo nulla.

che cosa orribile la paura.

ma noi ce ne fottiamo, noi stasera e domani e dopo ridiamo, noi stasera e domani e dopo viviamo.

martedì 6 maggio 2008

portogallo.



atterri a Porto e ti appare proiettata nel 2030, subito osservi come anche da queste parti i servizi siano nettamente superiori.
ti prelevano appena scendi nella sezione metro e ti mettono sulla linea adatta, direzione centro città.
esci a Sao Paolo e sei catapultato indietro nel tempo di un centinaio di anni almeno, ti volti e vedi l'azzurro del rio che costeggia Porto, dietro di te infine salite nocciola, ai lati meravigliose viuzze talmente piccole che ti chiedi come le macchine possano entrarvi così alla perfezione e così velocemente, istintivamente dubiti dell'effetto ottico.
risali lentamente sino a praça da Libertade e poi giù a picco, improvvisamente, dalla cima, discese e colori e profumi e ti pare quasi che potrai fermarti solo ai piedi di una via qualsiasi che è il Rio, e poi è Ribeira e il mondo cambia, e la percezione del tempo cambia.
il passo si fa istintivamente lento ad osservare gli intonachi vecchi e scrostati, dignitosi e pieni di vita, ci si protende nelle porticine larghe 50 cm e alte 1 e 60, blu, si assorbe ogni odore ed ogni essenza, si guardano i pescatori stanchi alle porte di minuscoli bar e le donne che cucinano all'aria e ti sorridono invitanti, come le meretrici degli angoli mai nascosti, tornite e allegre.
a Ribeira ci si perde con assoluta gioia, a Ribeira si seguono gli splendidi odori di cucina di pesce e pane e dolci e spezie, ci si ferma con gli odori, o per il vino verdhe regalato o per la musica o le danze improvvisate e allegre, spontanee, non turistiche, i turisti sono più su, molto più su.
a Ribeira c'è povertà dignitosa, e ci sono i sorrisi più belli della città, e li osservi tutti e tutti indicano il Rio e il tram e le fabbriche di porto generose.
a Ribeira tutto è obliquo e scosceso, tutto è nocciola e scrostato, tutto è meravigliosamente vecchio, tutto è mestiere, ciabattini, pescivendoli, baristi d'altri tempi, pellettieri, librai.
librai..qui scopri che Ricardo Reis è uno pseudonimo di Pessoa e tu, imbecille, hai lasciato dentro una libreria un'edizione autografia di opere di Reis, senza riconoscerlo, così, ti attiravano altre cose.
Ribeira è malinconica vista dal monastero, la si lascia con tristezza, a caso, col viso voltato tra gli alberi dell'Altalejo, percorri la statale tra l’odore penetrante di pini e querce, scegli dove fermarti, dove sostare, sorridi ai piloni messi apposta per le cicogne che costruiscono nidi di rami, enormi giacigli sopra le teste dei contadini e il verde dei campi e i carretti trainati dai buoi e i fiumi e le valli.
Poi arrivi a Nazarè e lì ti fermi.
È una città, non verrebbe voglia di fermarsi subito, perché città, poi passi vicino all’oceano ed è un’esplosione di blu e di bianchi, bianchi e blu e azzurri delle case e viuzze talmente strette da poter toccare entrambi i muri in lungo con un sol braccio e di nuovo odori e suoni e musiche e donne dai 7 veli colorati alle gambe e i sorrisi dei bimbi fuori da ogni vicolo in cui giocare a nascondino è il sogno di ogni bimbo, perchè laggiù i bimbi giocano ancora a nascondino e con le bambole sedute nelle sedie di paglia a far prendere loro il thé e a calcio ed è bello pensare che ancora si faccia e non esista solo play station o similari...
E ti fermi in spiaggia lentamente, assapori ogni rumore, l’oceano fa un rumore splendido, un gorgoglio profondo e continuato, sino al frastuono assoluto della tempesta.
Attendi, poi sono le 6 e i pescatori tornano in porto, le barchette colorate di nero a strisce blu, i berretti appuntiti simili a Venezia, sorridenti e le donne ai moli, in attesa, un rituale quotidiano che dimentica ogni attività, sono tutti al porto, tutti danno una mano, tutti si allungano alle casse di sardine e granchi e gamberi e aragoste, e tutti si spostano lenti in spiaggia più a sud, come una processione quotidiana, un vivere del mare ai loro ritmi, lenti aprono le sardine e le mettono al sole ad essiccare su essiccatori di legno semplicemente, così, all’aria, al mare, non immagino nessuno che possa venire a rubarne qualcuna.
Stessa fine i polipi, i granchi li offrono ai passanti, ad una miseria spesso gratis alla fine della serata, il prezzo va a viso, va a sorriso ed a rispetto dimostrato.
Va a viso anche la pensione d’azulejos in cui abbiamo dormito. Un viso da poco od una cortesia immensa. Un sorriso al mattino. Ed è di nuovo vicoli bianchi come il latte, ed ogni giorno danno una sensazione di diverso, di nuovo.
E poi via fino alle bocche dell’inferno, dove l’oceano non è mai calmo e ancora pini ed abeti e querce e piccoli paesi dai nomi ignoti e piccoli ristoranti ed altri sorrisi ed altri caffè e provare a fare il caffè con i vecchi per vedere l’Italia e la differenza e poi Lisbona dai ponti infiniti, Lisbona malinconica ma vestita a festa per i turisti, Lisbona città grande che perde un po' in genuinità.
Lisbona e l’alfama, dove il fado è perso in locali turistici, dai menù turistici e un Rio enorme ed inquinato, triste e spento.
Lisbona e qualche piacevole pezzo di Nuoro e dintorni per una birra, per caso.

Lisbona e il ristorante degli operai dove non ci accolgono, dove non ci guardano, dove infine ci adottano, così, per simpatia, perché da turisti abbiamo apprezzato il cibo povero ma sostanzioso e che cibo, divino, assolutamente divino con aguardente omaggio del figlio della padrona, con il caffè fatto con cura e l’invito a tornare e un obrigada sono io signora che le è piaciuta la mia cucina, io di più perché ero a casa all’estero e lei mi sorride e io penso che in Italia si sorride poco e male.
questa è l'alfama scovata per caso, dal nulla e genuina, probabilmente a ritornarvi non la troverei.
Poi viene il deserto e l’Algarve e Obidòs e la sua gingja sin dal mattino, nettare di ciligie in un paese uguale a 500 anni fa, i suoi vecchi sembrano di 500 anni e ti guardano curiosi e sorridenti, scuotono il capo con dolcezza ai nasi per aria.
e ancora un minuscolo bar lusitano visto per caso dove i vecchi siedono tra vino e carte e via, ancora, capo Sao Vincente e la fine del mondo conosciuto e l’oceano, solo oceano e surf e surf e oceano e coste altissime e conchiglie gialle e io che prendo la prima onda e solo i blu infiniti e marrone e nocciola e giallo e musiche naturali e noi, zitti.

sabato 3 maggio 2008

la vergogna.



accade che torno in Italia dopo 8 splendidi giorni in giro per il Portogallo, da Porto a Sagres, passando per Lisbona e Nazaré ho conosciuto dei posti meravigliosi e della gente altrettanto bella, mi sono crogiolata sull'oceano e ho fatto surf per la prima volta in vita mia, volevo scrivere di questo e poi...
poi accade che il penultimo giorno di vacanza prendo in mano Le monde e leggo che Roma è andata al fascio picchiatore, sposto lo sguardo e vedo che Libero (un pò sconvolta per la sua presenza in Portogallo), titola: "Walter non ti resta che l'Africa", titolo quantomeno razzista e sciocco, oltre che volgare e la mia già azzerata voglia di tornare crolla ai minimi storici.
poi accade che torno in Italia e leggo:

"Le terribili minacce che giungono da Tripoli dimostrano che avevo visto giusto indicando la Libia come regista della strategia di invasione delle coste meridionali del nostro Paese. Per fortuna, grazie agli elettori, vi sarà finalmente nel nuovo governo la presenza significativa dei crociati della Lega Nord, in grado di combattere fermamente il pericolo del terrorismo jihadista e i suoi palesi e occulti sostenitori. L'Italia, grazie anche alla Padania, è un grande Paese e non si farà intimidire da chi semina sentimenti di odio contro di noi, contro la nostra religione e contro la nostra civiltà".
a tal punto sono totalmente inorridita e mi vien da dirvi a voi, a voi del nord, a voi che pensate di essere superiori e siete anche voi del sud Europa, ma forse anche la geografia è per voi troppo.
a voi che per quell'assurdo 7% che avete preso pensate di poter parlare a nome dell'Italia.
a voi che con le vostre viscide facce da maniaci pervertiti sorridete irridenti alle telecamere, affermando superiorità razziali inesistenti.
a voi che sareste la gioia di Lombroso al nord.
a voi che osate parlare di cultura con arroganza, anche se il vostro livello di conoscenza è pari a quello di un infante senza possederne l'innocenza.
a voi che viscidamente commentate le prostitute per strada, perché vi immagino così, vi vedo così, lo so, eppure vi riempite la bocca con la parola famiglia.
voi che ce l'avete duro e a guardarvi si dubita perfino che ce l'abbiate, mammolette incapaci di assumervi le vostre responsabilità se l'Italia va male.
a voi che vantate credibilità all'estero solo perché non sapete parlare altro che il vostro finto dialetto e non capite i titoli dei giornali, ma solo le immagini, con sforzo e tramite traduttore.
a voi piccoli fascisti in erba che cogliete l'acqua del Po in un ridicolo rituale che sostenete vecchio di millenni, dimenticando che la pianura padana è stata bonificata da Mussolini e voi esistete dagli anni '90.
a voi che vi piace viaggiare senza apprendere nulla.
a voi che sapete solo parlare di denaro e pensate di produrre per tutti e poi evadete in 140.000 tra Lombardia e Veneto e i tram signori ve li pagate con i nostri soldi, quelli di Roma ladrona.
a voi che volete rivisitare la storia perché l'avete studiata sulle figurine panini.
a voi che la sera tornate a casa dalle vostre mogli inveendo contro gli extracomunitari, salvo impiegarli nelle vostre fabbriche a meno del minimo salariale, sentendovi anche generosi in questo.
a voi che siete il prodotto peggiore della modernità paurosa e votata al nulla,
voi che siete potere del Dio denaro.
a voi che siete così meschini e ipocriti e maiali da avere schifo di voi e dar aver schifo di chi ha creduto in voi.
a voi che prendete la prima comunione guardando lascivi il Cristo che pensate vicino.
a voi io dico che siete gli ultimi dell'Italia, voi siete coloro che rinnegano il nostro passato, la nostra storia, la nostra immane cultura storica e artistica.
voi e solo voi siete coloro che disonorano l'Italia.
voi siete la nebbia d'Italia.
siete il nulla che vaga in una parlata indecente.
siete coloro che abitano in una terra che è grigia dal cielo e ne avete preso il colore.
voi non mi rappresentate, voi non sarete mai Italia.
voi vorreste, ma non potete.
voi che non conoscete dignità andate per voi, soli, insieme all'expo di Milano, voi andate, lasciate me a piangere per Venezia che pare abbia perso colore oggi.
lasciate noi al sole.
lasciate a noi l'Italia, a noi che siamo ancora in grado di sorridere a chi ci è di fronte e anche se di sorrisi non si mangia alleviano la vita, da sempre.
voi non avete sorriso e sono io a non volere voi, sono io a non voler la stessa nazionalità che avete voi.
voi mi fate schifo.
voi mi inorridite.
voi mi fate vergognare e questo mi dice che non sarei dovuta tornare.