mercoledì 26 marzo 2008

paura


c'è qualcosa di viscido nella paura.
è scivolosa, melmatica, odiosa, ne afferri un pezzo, lo stringi, gli parli e riparli, tiri, sembra che scompaia, allora smetti di combatterla, diventi acqua che si richiude sopra i corpi che ha assorbito dentro di se, ti volti e cazzo! è di nuovo lì, nemmeno un graffio perdio, nemmeno uno. allora t'incazzi.
t'incazzi con la filosofia e i suoi archetipi.

t'incazzi con la psicologia e fanculo Young e Freud.
t'incazzi con Jodorowskj anche, perché? perché cristo io ho provato a non combattere la paura, davvero e mi sono fidata, dici che se non la combatti questa scompare, allora caro, sai dirmi perché è ancora qui?? no, dico, così per dire, ok ok sei più bravo di me, la psicomagia mica la si impara in un attimo, sono anni di applicazione, vero e ancor vero, ma sai io non ho una strega indiana da me, nemmeno uno sciamano africano, né una jana sarda, se può essere lo stesso, quindi faccio da me! e però niente amico mio (perdona il tono colloquiale) proprio niente.
allora
boh, provo a controllare i sogni? poi però ci arrivo a cancellare la paura? no, perché in effetti io volevo arrivare a questo, il resto, bah mi secca, ma faccio senza. ascò io faccio così ti vengo a trovare, eh? che dici? guà non sono pedante, giuro, eppoi mi rimani solo tu, Young è morto, Freud uguale, i grandi filosofi non ne parliamo!
siamo d'accordo? è che poi mi fa incazzare a bestia che non riesca, davvero, eppoi mi piaceva tanto l'idea, si mi secca proprio fallire, ancor più perdere, soprattutto persone sai? si, soprattutto persone, in un sospiro, in un invecchiamo assieme e in un saluto a Bordeaux, poi potremmo anche analizzare com'é che la mia amata Francia ultimamente mi crei, come dire, mm, mettiamola sui guai va! lo voglio evitare, capisci? si io ho deciso, ti vengo a trovare, arrivo, aspettami!

lunedì 17 marzo 2008

meno 33



meno trentatre.
poi non sarà altro che rumori di nuovo e d'acqua.
acqua e rumori di nuovo,
per disabituarmi ancora alla città.

giovedì 6 marzo 2008

nonluoghi

Non secondo Augé, né secondo Berger, ovvero Spinoza, che pure stimo, nonluoghi secondo i medi, i comuni, nonluoghi di cui abbiamo bisogno, identità, di cui abbiamo necessità e ahimè non abbiamo.
Non abbiamo riferimenti che non sia storia, che non sia luogo o desiderio, non abbiamo altro che le nostre percezioni sensoriali, di memoria, non abbiamo nulla che non sia costruito, ora in infanzia, ora in adolescenza, non abbiamo altro che smacchi nascosti da tirar fuori a tempo debito.
Eppure abbiamo bisogno di collocazione e di collocare gli altri.
Abbiamo bisogno di definizioni, non riusciamo ad esserne esenti, dobbiamo necessariamente collocare le persone che ci circondando entro limiti ben definiti a noi comprensibili, ciò che non comprendiamo semplicemente non lo assimiliamo all’istante per quel che è, abbiamo bisogno di scomporlo e di riferirlo a qualcosa che ci è noto.
E allora, banalmente, se telefoniamo al mobile di qualcuno il primo bisogno che abbiamo è di collocarlo in uno spazio-temporale, il secondo è il sapere chi stiamo chiamando, non in astratto, ma in maniera definita, accettiamo l’estraneo solo ove dovuto, per necessità.
Abbiamo urgenza delle cose altrui, sapere per collocare, come piccoli magazzini di pensiero a compartimenti stagni in cui ogni persona a noi nota ha la sua esatta collocazione, la sua esatta definizione, fissa.
Ci turba, fateci caso, quando questa persona modifica il suo comportamento, o malauguratamente cambia, ne abbiamo quasi il rifiuto, e spesso tendiamo alla critica, semplicemente non riusciamo più a collocarla nei nostri luoghi mentali, nei nonluoghi che gli abbiamo dato.
Occorre un processo di scomposizione e ricomposizione mentale, affinché la persona in questione possa rientrare nuovamente nello scomparto mentale a lei dedicato e ciò, per quanto ovvio, può accadere solo in presenza di un forte affetto, non teniamo nella giusta considerazione l'evoluzione umana, soprattutto di pensiero.
Esattamente come ci turba il contatto con chi nelle nostre convinzioni, o percezioni, non risponde ai nonluoghi creati dalla nostra mente.
Difatti è perfettamente falso che l’uomo non si ferma alle apparenze, non in senso assoluto, ma relativo, quando incontriamo una persona ne notiamo subito l’abbigliamento e se questo rientra nei nostri gusti spesso possiamo anche soffermarci a conoscerla, in caso contrario tale persona viene accantonata, è umano ed indefettibile.
Faccio un esempio, quando si incontra una persona estremamente tirata, spesso si classifica con un banale “fighettina/o”, e nel caso in cui noi siamo di altre “sponde”, semplicemente la accantoniamo, la molliamo, non ci interessa, per converso se incontriamo qualcuno che riteniamo affine ci soffermiamo, parliamo, magari azzardiamo serietà nelle conversazioni, spesso e purtroppo accade che l’affine non lo è, ma solo modaiolo, il tirato lo è.
definizioni, è la parola d'ordine.
L’uomo è banale in fondo, prevedibile, facile al giudizio e al giustizialismo, secoli di libero pensiero, di filosofia, sociologia e antropologia hanno di ben poco aperto la mente, o forse rimane solo una questione di maturità.
Forse è invece questione di una conformazione genetica, o di una profonda mancanza di dialogo, di ottusità anche, di assenza di tempo perlopiu.
non lo so, invero non lo so.
Ora mi chiedo quanti compartimenti stagni possiede ancora la mia mente? Quanti nonluoghi da far divenire luoghi? E quanto sia esatto ragionare così, o meglio ciò è giusto? no, ma non per motivazioni profonde, ma perché resto ancorata tenacemente alla concezione relativa della giustizia (su questo consiglio Giustizia di Dürrenmatt, al di là della filosofia) e del mondo in sé, che mai è univoca, niente è univoco.
il triste è che nonostante si provi a modificare questo atteggiamento, a imporci il basta, lascia vagare la mente come viene, cadiamo sempre nell’errore di avere la necessità fisiologica di dover inquadrare qualsiasi cosa ci si presenti davanti.
Badate non parlo dei pregiudizi di strapazzo o d'altro di simile, parlo di classificazioni di ciò che incontriamo, a prescindere dall’indubbia e innata curiosità dell’uomo che lo spinge sempre ad una ricerca sia interiore che esteriore, mai sia diversamente, all'apprezzare questo, ma il nuovo, il diverso dobbiamo, per quanto diverso, associarlo sempre a qualcosa che conosciamo, altrimenti ne siamo sconvolti, scioccati, nelle ipotesi migliori affascinati e soggiogati.
Tutto ciò in sintesi per dire che sto di nuovo cambiando dentro, sono camaleontica, in questi anni ho cambiato varie volte punto di vista e forma mentis, mi rendo conto di aver creato scompiglio qualche volte, però è bello, io inizio ad apprezzarlo davvero, mi piace proprio, devo lavorarci, ma mi affascina, andare anche contro me e soffermarmi, impormi di non cercare verosimiglianze, assonanze, anzi viva le dissonanze, insomma nonostante i retaggi mi sa che li scompongo tutti gli scomparti della mente, oh poi in quanto umana si dovrà provvedere mio malgrado a ricomporli tutti!!