capita.
Esiste la stanchezza dell’intelligenza, è vero.
E’ un concetto su cui ho riflettuto traendolo dal “Libro dell’inquietudine” di Pessoa.
Ed è anche vero che questa, quando ti assale, è spaventosa, logorante, fa parte di quelle sensazioni che vengono così, senza che tu le abbia cercate, o volute, e non le sai spiegare.
E allora è come se non abbia più molto da dire a me, non converso più con me stessa, non mi spiego i miei sentimenti, non razionalizzo le mie paure e oscillo tra i venti.
Aspetto, stimoli forse, ma, in effetti, solo sensazioni.
Nel frattempo non ho nemmeno più molto da dire agli altri, o forse semplicemente non mi interessa più tanto e a volte mi chiedo quanto più ampio sta diventando il mio vuoto, quanto più dura la mia intolleranza, quanta enormità nella voglia di scomparire.
E’ una sensazione che sa di sconfitta, sa di inutilità, e di assenza.
Di nulla, io so ora di nulla e vorrei fregarmene di tutto e andare, eppure dovrei rifulgere di vita propria appunto per ovviare l’enorme tristezza dei fatti.
Invece ho l’abulia della sonnolenza, dell’assenza di voglia, ho l’inerzia di un giorno uguale all’altro, sempre lo stesso panorama dalla finestra, sempre la stessa sedia, le solite stronzate, le solite lamentele di gente che possiede più frustrazioni di me ed è convinta che un’aula di Tribunale gliele risolva, il mio sorriso ironico quando mi sento chiamare avvocato, le mie inutili precisazioni.
Il solito nulla, senza lampi e non godo di nulla, nemmeno di una buona cena e di un buon vino in ottima compagnia.
Non godo di nulla, ma al contempo ho l’inquietudine dell’azione, la totale e assoluta voglia di oppormi a qualsiasi metodo dell’agire comune che possa dirsi tale.
Ho l’idea di oppormi a qualsiasi logica, a qualsiasi scienza dell’agire.
E qui immagino diversi futuri paralleli, diverse me.
Ma sono lampi, poi tutto perde il senso, in alternate fasi calanti.
E allora vorrei dormire a lungo, non ammettere di aver sbagliato, ma tanto vale accorgersene.
Posso riparare, cambiare, modificare, essere qualcos'altro, forse.
E posso anche pensare che siano crisi così..lunghetta la mia eh, posso pensare che ognuno attraversando la strada che a scelto si guardi e si chieda che ho fatto? Ho davvero fatto qualcosa? Oppure ho così male interpretato me stessa da aver sbagliato tutto ciò che mi riguarda?
Si sbaglia, si pensa, poi forse si torna, poi ci sente in colpa per chi non ha scelto, ma solo subito gli eventi, ma la verità è che l’uomo è innatamente egoista e i sensi di colpa durano lo stretto necessario a farci sentire migliori di quel che siamo.
Allora lascio.
Lascio la professione civile.
Amen, pace e bene a tutti.
E’ un concetto su cui ho riflettuto traendolo dal “Libro dell’inquietudine” di Pessoa.
Ed è anche vero che questa, quando ti assale, è spaventosa, logorante, fa parte di quelle sensazioni che vengono così, senza che tu le abbia cercate, o volute, e non le sai spiegare.
E allora è come se non abbia più molto da dire a me, non converso più con me stessa, non mi spiego i miei sentimenti, non razionalizzo le mie paure e oscillo tra i venti.
Aspetto, stimoli forse, ma, in effetti, solo sensazioni.
Nel frattempo non ho nemmeno più molto da dire agli altri, o forse semplicemente non mi interessa più tanto e a volte mi chiedo quanto più ampio sta diventando il mio vuoto, quanto più dura la mia intolleranza, quanta enormità nella voglia di scomparire.
E’ una sensazione che sa di sconfitta, sa di inutilità, e di assenza.
Di nulla, io so ora di nulla e vorrei fregarmene di tutto e andare, eppure dovrei rifulgere di vita propria appunto per ovviare l’enorme tristezza dei fatti.
Invece ho l’abulia della sonnolenza, dell’assenza di voglia, ho l’inerzia di un giorno uguale all’altro, sempre lo stesso panorama dalla finestra, sempre la stessa sedia, le solite stronzate, le solite lamentele di gente che possiede più frustrazioni di me ed è convinta che un’aula di Tribunale gliele risolva, il mio sorriso ironico quando mi sento chiamare avvocato, le mie inutili precisazioni.
Il solito nulla, senza lampi e non godo di nulla, nemmeno di una buona cena e di un buon vino in ottima compagnia.
Non godo di nulla, ma al contempo ho l’inquietudine dell’azione, la totale e assoluta voglia di oppormi a qualsiasi metodo dell’agire comune che possa dirsi tale.
Ho l’idea di oppormi a qualsiasi logica, a qualsiasi scienza dell’agire.
E qui immagino diversi futuri paralleli, diverse me.
Ma sono lampi, poi tutto perde il senso, in alternate fasi calanti.
E allora vorrei dormire a lungo, non ammettere di aver sbagliato, ma tanto vale accorgersene.
Posso riparare, cambiare, modificare, essere qualcos'altro, forse.
E posso anche pensare che siano crisi così..lunghetta la mia eh, posso pensare che ognuno attraversando la strada che a scelto si guardi e si chieda che ho fatto? Ho davvero fatto qualcosa? Oppure ho così male interpretato me stessa da aver sbagliato tutto ciò che mi riguarda?
Si sbaglia, si pensa, poi forse si torna, poi ci sente in colpa per chi non ha scelto, ma solo subito gli eventi, ma la verità è che l’uomo è innatamente egoista e i sensi di colpa durano lo stretto necessario a farci sentire migliori di quel che siamo.
Allora lascio.
Lascio la professione civile.
Amen, pace e bene a tutti.